Ti penso
quando lenta la neve fiocca
nel silenzio,
quando il sole di fuoco
spacca le montagne austere.
Ti penso
quando nel profondo
del mio cuore
la nostalgia di te
lacera l’anima,
quando la luna inonda
di cerulea luce
una striscia di mare
addormentato,
quando le notti
diventano fiumi
interminabili.
Ti penso
quando in sogno
le tue morbide labbra
sussurrano:
“t’amo”!
quando i petali dei fiori
offrono il corpo
alla rugiada del mattino.
Ti penso
ogni istante di questo
eterno giorno,
come il soldato la mamma
lontana,
come il bimbo il suo
Angelo Custode,
come il condannato a morte
la vita che gli sfugge!
Ti penso!
La tentazione di morire…
Non avvicinarti.
La tua fronte, la tua infuocata fronte, la tua accesa fronte,
le impronte di certi baci,
questo bagliore che anche di giorno si vede se t’avvicini,
questo bagliore contagioso che mi rimane in mano,
questo fiume luminoso dove immergo le braccia,
dove non oso quasi bere, per timore poi d’una vita dura ormai d’astro brillante.
Non voglio che tu viva in me come vive la luce,
con questo isolamento di stella che si unisce alla sua luce,
cui l’amore è negato attraverso lo spazio
duro e azzurro che separa e non unisce,
dove ogni astro inaccessibile
è una solitudine che, gemebonda, trasmette la sua tristezza.
La solitudine scintilla nel mondo senza amore.
La vita è una vivida corteccia,
una rugosa pelle immobile
dove l’uomo non può trovare il suo riposo,
per quanto scagli i suoi sogni contro un astro spento.
Ma tu non avvicinarti.
La tua fronte sfavillante, carbone acceso che mi strappa alla stessa coscienza,
duello sfolgorante in cui di colpo provo la tentazione di morire,
di bruciarmi le labbra con il tuo contatto indelebile,
di sentirmi la carne disfarsi contro il tuo diamante rovente.
Non avvicinarti,
perché il tuo bacio si prolunga come l’urto impossibile delle stelle,
come lo spazio che all’improvviso s’incendia,
etere propagante dove la distruzione dei mondi
è un unico cuore che totalmente s’infiamma.
Vieni, vieni, vieni
come il carbone consunto e oscuro che racchiude una morte;
vieni come la notte cieca che mi avvicina il suo volto;
vieni come le due labbra segnate dal rosso,
per quella lunga linea che fonde i metalli.
Vieni, vieni, amore mio;
vieni, ermetica fronte, rotondità quasi movente
che brilli come un’orbita che nelle mie braccia si estingue;
vieni come due occhi o due profonde solitudini,
come due imperiosi richiami da una profondità che non conosco.
Vieni, vieni, morte, amore:
vieni subito, ti distruggerò;
vieni, che voglio ammazzare, o amare, o morire, o darti tutto;
vieni, che tu rotoli come pietra lieve,
confusa come una luna che chiede i miei raggi!
VICENTE ALEIXANDRE
“Vieni sempre, vieni”
E questo non è niente…
Sì, tutto con eccesso:
la luce, la vita, il mare!
Plurale tutto, plurale,
luci, vite e mari.
Che salgono, che ascendono
da dozzine a centinaia,
da centinaia a migliaia,
in un’esultante
ripetizione infinita
del tuo amore.
Tutto corra a moltiplicare,
carezza per carezza,
abbraccio per vulcano.
Bisogna stancare i numeri.
Che contino senza posa,
si umbriachino contando,
è che non sappiano più
l’ultimo quale sarà:
che vita senza termine!
Una gran torma di zeri
investa, nel passare,
le nostre agili felicità,
e le conduca alla vetta.
Si spezzino le cifre,
senza riuscire al calcolo
né del tempo né baci.
E ormai al di là
di computi, di fati,
abbandonarci alla cieca
al grande abisso del caso
che irresistibilmente
sta
cantandoci con grida
fulgide di futuro:
“E questo non è niente.
Cercate, c’è dell’altro”.
PEDRO SALINAS
tratto da
“La voce a te dovuta”
Una rima che manca.
Non ho camminato nei tuoi sogni,
nè mi sono mostrato in mezzo alla folla,
non sono apparso nel cortile
dove pioveva o meglio cominciava
a piovere
(questo verso
lo cancello e non lo sostituirò),
era allettante credere, come uno stupido,
che ti avrei incontrato presto,
eri tu che mi apparivi in sogno
(e mi prendeva una dolce tenerezza),
mi sistemavi i capelli sulle tempie.
Quell’autunno perfino le poesie
in parte mi riuscivano bene
(però mancava sempre un verso o una rima
per essere felice).
BORIS RYZYI
Questo è il momento…
“Questo è il momento” mi sono detto
in un attimo niente più freddo
più nessuno intorno, la natura
una verde camera da letto, forte
delle stesse cose che io voglio
tento l’abbraccio a fondo ma ne sono
respinto, senza uno sguardo senza
una parola si ricompone se ne va nel buio
– era il mio momento non il suo.
NELO RISI
Ha fatto qualche errore ma…
Quando Dio creò l’amore non ci ha aiutato molto
quando Dio creò i cani non ha aiutato molto i cani
quando Dio creò le piante fu una cosa nella norma
quando Dio creò l’odio ci ha dato una normale cosa utile
quando Dio creò Me creò Me
quando Dio creò la scimmia stava dormendo
quando creò la giraffa era ubriaco
quando creò i narcotici era su di giri
e quando creò il suicidio era a terra
Quando creò te distesa a letto
sapeva cosa stava facendo
era ubriaco e su di giri
e creò le montagne e il mare e il fuoco
allo stesso tempo
Ha fatto qualche errore
ma quando creò te distesa a letto
fece tutto il Suo Sacro Universo.
CHARLES BUKOWSKI
Allegria pazza allegria!
Allegria del ritmo
allegria del passaggio a guato
allegria della morte
allegria del crimine
allegria della bestialità
allegria amore mio
Io prendo il fuoco
tu prendi il fuoco
si stacca la fiamma dalle nostre radici
la storia si dilegua
la nostra faccia li farà impazzire
Allegria pazza allegria da rivoltare il mondo
allegria senza pesantezza
allegria senza terrorismo
allegria di gambe dischiuse al fulmine
allegria striata da lampi di collera
allegria senza confini
allegria sguainata
Scandalosa allegria dell’amore
ti piegherò le ossa fin nel ventre della terra
risuoneranno le nostre risa dentro ai cimiteri
ALAIN JOUFFROY
… in me cadeva il giorno.
O datemi qualcuno che mi ascolti,
ché di parole straripo… qualcuno
che mi prenda per mano e dei sepolti
dei fatti polvere e niente al raduno
mi porti…
di occhi ho paura… di volti…
Non mi restava ormai niente e nessuno,
e come sanguinando intorno intorno
pesantemente in me cadeva il giorno.
Patrizia Valduga
Mi piace…
Mi piace che tu sei innamorato non di me,
Mi piace che io sono innamorata non di te,
E che mai la pesante sfera terrestre
Mancherà sotto i nostri piedi.
Mi piace che si possa essere buffe, lasciati andare,
E non giocare con parole,
E non arrossire di un’onda soffocante
Appena sfiorandosi con le maniche.
Mi piace, anche, che tu davanti a me
Tranquillamente abbracci un’altra
E non mi auguri di bruciare nell’inferno
Perché io bacio non te.
E che il mio nome tenero e dolce
Non ricordi né di giorno né di notte, invano…
Mi piace che mai nel silenzio di una chiesa
Canteranno sopra di noi: Alleluia!
Ti ringrazio con il cuore e con la mano
Per il fatto che tu, senza saperlo, mi ami così:
Per la mia tranquillità notturna,
Per la rarità degli incontri alle ore del tramonto,
Per le nostre non-passeggiate sotto la luna,
Per il sole non sopra le nostre teste,
Per il fatto che tu sei innamorato, purtroppo, non di me,
Per il fatto che io sono innamorata, purtroppo, non di te.
Marina Cvetaeva
L’ultima lettera.

che hai cominciato scrivere per noi poco più di otto mesi fa.
Propio ora hanno cominciato a tremarmi le mani. Quanti minuti ho a mia
disposizione? Dieci? Nove?…
Se solo potessi guardarti negli occhi, vederti là dentro, raccontarti quello che
vedo.
Vedo un uomo che non è un uomo, e un bambino che non è un bambino. Vedo
un uomo la cui maturità e la cui verilità sono come una cicatrice che si è chiusa
e indurita sulla ferita del bambino. Tu stesso hai scrito una volta e io ricordo di aver
pensato che per te la “cicatrice” si è formata esattamente nel punto d’unione tra
l’uomo e il bambino, e che questo punto non è vivo in te, senza essere comunque
morto.
Lettera dopo lettera sentivo che avrei potuto fare qualcosa per te; e non era un
caso che tu ti fossi rivolto a me, perché grazie al tuo intuito avevi capito che io avrei
potuto guarire quella cicatrice, fino a rivelare il bambino, il tuo gemello luminoso e,
ricominciando da lui, avresti potuto tornare a essere l’uomo che sei, che eri destinato
a essere.
Chi è quest’uomo? Temo che non mi permetterei più di scoprirlo. Posso solo indovinare
che è tutto quanto insieme: adulto e bambino e molte altre cose e molte altre persone –
ma riuniti insieme, senza le divisioni artificiali e violente che esistono dentro di te.
Perché ai miei occhi, nel punto in cui tutte quelle “anime” si toccano, si mescolano
e si uniscono senza che nulla le separi, sento che laggiù si tova il tuo vero io.
Quando ti ho incontrato laggiù mi sono subito sentita riempire da te. Il mio corpo e la
mia anima ti hanno parlato direttamente, oltre le tue parole, che non sempre amavo.
Perché laggiù tu mi ecciti veramente, mi stimoli, mi infiammi e mi fai male.
E quando, talvolta, mi hai permesso di stare laggiù con te mi sono sentita viva come
non mi era mai successo con nessuno. Con nessun uomo.
Cosa succede? Hai sentito? All’improvviso provo freddo e caldo al tempo stesso. E ti
sento, reale, con tutto il corpo. Mi stai di fronte, cosi vicino, come se ti trovassi al di là
della porta.No, non mi farò illusioni.
che ancora non ho detto? E cos’altro rimane da dire, a parole?
migliaia di parole diventino corpo…